Articolo di Massimiliano Iervolino su Huffingtonpost: Transizione energetica: perché il 2025 è l’anno della verità – HuffPost Italia

Il rischio è di parlare sempre dei massimi sistemi e non della concretezza delle norme. Infatti quando si sente discutere della transizione energetica, i più continuano a discettare su quali tecnologie utilizzare e non si concentrano su quanto già c’è. Ossia il PNIEC (Piano energia e clima) e il pacchetto comunitario “FIT for 55” dai quali deriva che l’obiettivo italiano al 2030 è l’installazione di una potenza aggiuntiva pari a 80 GW da fonti rinnovabili rispetto al 31 dicembre 2020. 
Orbene, visto che nel nostro Paese “grazie” alla riforma del Titolo V della Costituzione quella energetica è una competenza condivisa tra Stato e Regioni, queste ultime giocheranno un ruolo fondamentale per la transizione energetica nazionale, tanto è vero che il Governo ne ha individuato la ripartizione in termini di potenza da installare. 
Per esempio entro il 2030 il Lazio dovrà raggiungere l’obiettivo di circa 4.8 GW, la Lombardia 8.766, il Piemonte 4.991, la Sardegna 6.624 e la Puglia 7.387 GW.
In parole povere siamo di fronte ad un obiettivo nazionale suddiviso per diciannove regioni e due provincie autonome: un capolavoro. 
Il raggiungimento o meno di questi 80 GW di potenza da installare entro il 2030, ci dirà se l’Italia avrà davvero imboccato la strada giusta per la transizione energetica. Raggiungere quei numeri, tra le altre cose, vorrebbe dire poter intervenire sull’industria pesante (hard to abate), sulla mobilità elettrica e sulla produzione di idrogeno verde.
Ovviamente siamo già indietro con la tabella di marcia. Infatti parliamo di un Decreto, il 199/2021, approvato durante la scorsa legislatura con il Governo Draghi. All’interno del quale c’è l’articolo 20 che delega una serie di ministeri a emanare a loro volta un decreto con lo scopo di stabilire i criteri per l’individuazione delle aree idonee e non idonee. L’atto interministeriale doveva essere pronto entro il giugno del 2022 e conseguentemente entro dicembre 2022 le regioni dovevano su questo legiferare. Ma le tempistiche in Italia sono sempre ordinatorie, e mai perentorie, ahinoi. Tanto è vero che il tanto atteso “DM aree idonee” – Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili –  è entrato in vigore il 3 luglio del 2024 ovvero con due anni di ritardo. Da queste tempistiche consegue che il 2025 sarà l’anno chiave per capire se la nostra transizione energetica si realizzerà o meno. Perché le Regioni avranno sei mesi di tempo per individuare, attraverso delle proprie leggi, le zone dove poter installare o no impianti da rinnovabili. E la nostra transizione dipenderà molto da come verranno scritte queste norme regionali. 
Un primo segnale di allarme – colto dalle imprese e non dalla politica – giunge dalla Sardegna che, poche settimane fa, ha licenziato un disegno di legge attraverso il quale ha sancito come il 99% del proprio territorio vada considerato non idoneo. Una strada simile purtroppo la sta percorrendo pure la Regione Puglia. Tuttavia era da aspettarselo, infatti il Decreto ministeriale pubblicato il 3 luglio del 2024, contiene un’ampia quota di discrezionalità a favore delle regioni nell’individuazione delle aree idonee e non idonee. Il rischio, più che mai concreto, è quello di trovarsi di fronte a regimi diversi da regione a regione, con la possibilità di vedere ampie fette di territorio italiano etichettato dalle regioni come non idoneo. Il “caso” Sardegna insegna. Il lettore comprenderà bene che così facendo gli obiettivi al 2030 non verranno mai raggiunti e quindi addio alla transizione energetica del nostro Paese.
Infine a chi invece si occupa di politica una domanda è d’obbligo: ha ancora senso mantenere l’energia come materia concorrente tra Stato e Regioni soprattutto alla luce delle crisi degli anni precedenti e degli obiettivi comunitari per la transizione energetica?
La risposta dovrebbe essere lapalissiana, invece in Italia…