di Massimiliano Iervolino
Stiamo perdendo. Può sembrare una affermazione forte ma non lo è. Le democrazie sono in grossa crisi, le autocrazie no, inoltre i regimi ibridi fanno fatica a democratizzarsi. Secondo l’indice di democrazia dell’Economist Intelligence Unit (EIU), nel 2023 più di un terzo della popolazione mondiale vive sotto un regime autoritario (39,4%) contro il 45,4% della popolazione mondiale che vive in una sorta di democrazia, ma di questa percentuale solo il 7,8% vive in una “piena democrazia”. Negli ultimi anni la situazione non è migliorata, anzi.
Le tre crisi globali che hanno sconvolto il mondo hanno avuto ripercussioni negative soprattutto nei Paesi democratici. Il crollo economico partito dagli Stati Uniti nel 2007/8, la pandemia e l’invasione della Russia in Ucraina hanno profondamente cambiato il rapporto delle popolazioni con le istituzioni democratiche dei singoli Paesi. Basta vedere quante persone in Italia dal 2008 ad oggi hanno deciso di non recarsi più alle urne in occasione delle elezioni politiche. Un dato sempre crescente, numeri allarmanti.
Sono molte le motivazioni dietro la crisi delle democrazie, una di queste è sicuramente la lentezza con la quale si risponde ai fatti gravi che colpiscono il mondo. Ogni mancata risposta, o risposta troppo lenta, è una profonda ferita che si apre nel sistema democratico il quale, in quanto tale, viene messo sempre in discussione: 365 giorni all’anno, 24 ore al giorno. Per di più in un mondo globalizzato e in “rete”, dove ogni cosa che succede, vera o falsa che sia, diventa virale. La tecnologia doveva farci vincere la sfida contro le autocrazie in realtà sta avvenendo l’esatto contrario. Le armi di attrazione di massa non sono tali, e la guerra ibrida di Putin sono l’altra faccia della medaglia: i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Concentrandoci sull’Europa, pensare di rispondere a crisi globali attraverso politiche nazionali è stato semplicemente folle. Oggi la nostra democrazia ne paga le conseguenze. C’è un problema enorme di governance che condiziona pesantemente i tempi di risposta. Per esempio alla crisi economica nata negli Stati Uniti e trasformatasi in crisi dei debiti sovrani nel Vecchio Continente, si è risposto troppo lentamente attraverso il “Whatever it takes” di Mario Draghi. Nel mentre abbiamo lasciato sul campo morti e feriti: lesioni profonde. La stessa cosa è avvenuta con la pandemia. L’assetto intergovernativo – che per le decisioni più importanti richiede l’unanimità degli Stati membri – ha di fatto rallentato pesantemente la nascita del Next Generation EU, il primo esperimento di debito comune europeo, utile a finanziare i Paesi europei in enorme crisi economica, sociale ed istituzionale. La guerra in Ucraina è il terzo esempio, la crisi energetica ha causato alle famiglie e le imprese degli aumenti in bolletta spropositati: perdita del potere di acquisto ed elevatissima inflazione. La risposta dell’Europa, come al solito, è stata lenta e inadeguata.
I tre fatti più eclatanti avvenuti negli ultimi tre lustri hanno reso le nostre democrazie molto più deboli, sono così nati e cresciuti i populismi e sono aumentate le persone che non avendo ricevuto adeguate risposte ai propri problemi hanno deciso di non recarsi più alle urne. La propaganda interna ed esterna ha fatto il resto.
Dall’altra parte abbiamo i regimi autocratici, i quali non mostrano evidenti segnali di crisi. La risposta veloce dell’unico uomo al comando è incontrastata, la repressione fa il resto così come la censura.
Stiamo perdendo la sfida contro le autocrazie, e la guerra in Ucraina n’è l’esempio più lampante. Gli egoismi nazionali – e l’inefficienza e l’inefficacia egli organismi sovranazionali – stanno giorno dopo giorno indebolendo il Presidente
Volodymyr Zelensky e il suo popolo. Le elezioni europee di Giugno e quelle per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti di novembre saranno due momenti cruciali per la democrazia. Ma anche se andassero bene avremmo bisogno comunque di cambiamenti radicali, l’indice di democrazia dell’Economist Intelligence Unit (EIU) dimostra che le autocrazie non arretrano, anzi. Bisogna cambiare.
L’immagine della pagina principale è tratta da EIU Report: Democracy Index 2023