di Massimiliano Iervolino
Nel 1980 in occasione delle elezioni regionali, il Mattino di Napoli titolava: “Mai così pochi votanti dal 1946”. Gli elettori in quell’occasione si recavano alle urne per rinnovare 11 consigli regionali. In Campania andarono al voto l’84.5% degli aventi diritto, ciò nondimeno il giornale partenopeo fece un titolone per la scarsa affluenza. È utile ricordare che erano gli anni della lotta armata: brigate rosse, prima linea, nuclei armati proletari e Nar. Organizzazioni terroristiche extra parlamentari che uccidevano o gambizzavano carabinieri, poliziotti, magistrati, politici, giornalisti, professori universitari e sindacalisti. Erano periodi terribili, dove quasi ogni giorno i quotidiani erano costretti a fare titoli a nove colonne per raccontare quanto succedeva sia a livello nazionale che internazionale. A titolo di esempio da lì a poco ci sarebbe stata la strage del DC9 a Ustica, la bomba alla stazione di Bologna e l’omicidio del Procuratore di Palermo Costa. Eppure, le persone avevano voglia di partecipare nonostante questo clima di assoluta paura. Basti vedere le percentuali di votanti in quegli anni per i referendum, per le elezioni politiche, europee e amministrative. L’84.5% degli elettori per rinnovare l’assemblea campana del 1980 è da considerarsi un’enormità rispetto alle affluenze di oggi. Per di più parliamo di un territorio dove all’epoca c’erano enormi problemi di povertà, di istruzione, di igiene, di criminalità, di alloggi, di siccità e di sanità. Tutte questioni divenute ancora più gravi con il terremoto dell’Irpina, che devastò quasi l’intera Campania quel maledetto 23 novembre del 1980. Un territorio dove il contrabbando di sigarette era l’unico “ammortizzatore sociale” per gli invisibili sostituito da lì a poco prima dal racket poi dall’eroina. Dove l’alfabetizzazione era quasi un privilegio. Nonostante tutto questo la gente si recava alle urne. Non aveva perso la fiducia e la speranza.
Oggi non è più così. Perché?
Veniamo dalle ultime elezioni politiche – quelle del settembre del 2022 – dove circa 17 milioni di persone hanno deciso di non recarsi alle urne. Ha votato solo il 63.9%. Molto peggio è andata per le successive elezioni regionali: Lazio, Lombardia, Sardegna e Abruzzo. Queste tornate elettorali hanno avuto una affluenza rispettivamente del 37.20%, 41.68%, 52.40% e 52.19%. Percentuali lontane anni luce da quelle segnalate da Il Mattino in occasione delle elezioni dell’otto giugno del 1980. Negli ultimi sedici anni qualcosa è successo, ed è bene che la politica si interroghi su questo. Se è vero come è vero che durante le ultime 5 elezioni politiche per le elezioni alla Camera dei deputati abbiamo avuto le seguenti affluenze: 83.62% (2006), 80.51% (2008), 75.20% (2013), 72.94% (2018), 63.91% (2022). In tre lustri abbiamo perso 20 punti percentuali, un’enormità. Durante questo periodo sono scoppiate tre crisi globali (finanziaria, pandemica ed energetica) e dal 2008 alle ultime elezioni in Italia non v’è stata corrispondenza tra l’indicazione del voto degli italiani e i governi che si sono via via formati. Le mancate risposte alle emergenze planetarie e il susseguirsi di governi tecnici hanno sicuramente allontanato molte persone dalla vita politica del Paese. Tuttavia basta per spiegare il perché 17 milioni di persone il 25 settembre del 2022 hanno deciso di rimanere a casa?
Più alfabetizzazione, più libertà, più comunicazione – insieme ai social media e alla globalizzazione – hanno portano l’individuo ad una scelta più consapevole di quanto avveniva negli anni 70’ o 80? Oppure questo crollo dell’affluenza è dovuto ad una mancanza di offerta politica e dell’ideologie? O l’attuale assetto istituzionale non è più in grado di dare risposte ai problemi quotidiani della gente? O c’è altro?
Ovviamente la risposta non può essere unica. I fenomeni sono complessi. Ma chi tiene alla democrazia, in Italia e nel Mondo, questi quesiti deve porseli giorno dopo giorno, pena lo sfascio.