Di Federica Valcauda

(l’immagine è tratta da www.convincere.eu)

Nel mese di Giugno abbiamo affrontato il tema dei Diritti e della Democrazia, interrogandoci sulla trasformazione essa ha subito e che subirà con le innovazioni tecnologiche, dove per tecnologie intendiamo anche i nuovi modelli di comunicazione relativi ai social network e all’uso sempre più pervasivo dell’Intelligenza Artificiale.
Per studi e interesse mi sono concentrata sulla ‘tecnologia’ che ci ha permesso di comunicare in modo diverso, e di come questa oggi sia da conoscere in profondità per poter comprendere il mondo e analizzarlo criticamente, senza farsi trasportare dall’emotività dei messaggi o dalle certezze che creano in noi le ‘bolle’ che già frequentiamo. Insomma: è importante per salvaguardare le Democrazia avere gli strumenti per capire la propaganda, per analizzare quello che ci viene detto.
‘In principio furono radio e cinema’, il cinema in particolare, il medium prediletto usato dal potere per creare o mantenere il consenso. Ricordiamo Benito Mussolini che rese l’Istituto Luce nato nel 1924 organo primario d’informazione e propaganda del regime. Ricordiamo anche Hitler e Goebbels, quest’ultimo in particolare, il cui obiettivo era quello di dare al regime autorità ed un’accezione di splendore, usando la settimana arte: ricordiamo ad esempio il film documentario del 1935 commissionato dal dittatore tedesco dal titolo “il trionfo della volontà”.
La nascita della televisione ha cambiato le dinamiche tecniche della modalità di fare propaganda, internet e i social network ci hanno portati ad un grado più complesso e se vogliamo meno critico delle informazioni con cui abbiamo a che fare, cambiando il modo di fruizione.
Oggi la propaganda rispetto al passato è quotidiana, come aveva previsto con i dovuti distinguo Guy Debord ne ‘La società dello spettacolo”.
La propaganda oggi, per rimanere nel nostro Paese, è la battaglia a suon di musica avvenuta qualche settimana fa via social network tra la segretaria del Pd Schlein e la premier Giorgia Meloni: una ballava sul carro del pride e l’altra la pizzica in Puglia. Ma è solo immagine o anche contenuto?
Una domanda da porci, per comprendere ciò di cui stiamo parlando, è: oggi televisione e social network manipolano la realtà, o rendono la finzione reale?
Per rispondere a questa domanda, è necessario che noi tutti prendiamo coscienza di un fatto: in questi anni c’è stata una mutazione antropologica, descritta dal politologo Giovanni Sartori, ed in modo diverso Walter Benjamin quando parlava della perdita di aura nell’epoca della riproducibilità tecnica.
Da Homo sapiens, capace di creare e comprendere concetti astratti, a “Homo videns” capace solo di conoscenza percettiva e dunque individuo infinitamente più povero. Questo è ancora più vero con l’utilizzo dei social network: ogni partito politico, ogni personaggio politico o influencer di qualsiasi tipo dicono quello che vogliono senza intermediazione, senza controllo.
Ma i social diventano anche luogo in cui proliferano fake news, falsi profili, trolls, e nei casi più estremi avviene un uso fraudolento dei dati social sia a scopi di marketing che di manipolazione politica (ricordiamo il Russia Gate o Cambridge Analytica).
Questo modello, in cui non esiste una mediazione del contenuto se non dei commenti prodotti dagli utenti iscritti a quel social, non ha nulla a che vedere con il pluralismo dell’informazione se leghiamo questo concetto alla tutela della democrazia: quante sono le persone che commentano, che possono essere effettivamente al corrente dei fatti e non si lasciano andare a pregiudizi di ogni sorta? Questa è una domanda che ognuno di noi deve porsi, perché ognuno di noi può cadere in questa trappola di pigrizia.
Per questo credo che si possa estendere il saggio “Cattiva Maestra Televisione” di Popper (filosofo, epistemologo, psicologo ed educatore) anche ai social network, seppur non manchino, c’è da dire, le persone che tentano di fare buona informazione: ma in linea generale emerge un collasso qualitativo, per la democrazia e l’educazione dei bambini.
Se al tempo Popper era preoccupato del fatto che i bambini vedendo la violenza in televisione potessero riprodurla (esistono ricerche che lo confermano), per i social network la questione è ancora più sensibile.
Con la televisione il soggetto è diventato passivo, con i social network esiste nei fatti un’interazione tramite dei commenti ma rispetto alla televisione viene amplificato il fatto di essere all’interno di una bolla che già la pensa come te.
Inoltre, alcune pagine social o influencer si arrogano il diritto di esprimere semplici pensieri per esaminare realtà complesse, seguiti acriticamente dai loro follower; mi viene in mente ciò che diceva lo scienziato politico Harold Lasswell che in uno studio sulla comunicazione elaborò una domanda, che è una formula: “Chi sta dicendo che cosa a chi?”
Sono passati i tempi delle tribune politiche ove la democrazia si costruiva anche tramite un discorso/confronto, e siamo nell’epoca del talk show dove i tempi ristretti e la modalità di domanda/risposta creano una sovrastruttura preconfezionata che spesso ha poco a che fare con una reale informazione. In qualche modo, le notizie che ci arrivano sono sempre a metà: sia dai telegiornali che nei social network (leggere i giornali, di differenti editori, resta ad oggi la cosa più informativa). In questo contesto, si inseriscono con estrema facilità le fake-news, la post-verità: l’abbiamo visto con l’avvento del movimento Qanon.
QAn un termine che comprende una serie di teorie del complotto, in costante aumento, che sostengono senza alcuna prova che il mondo sia governato da una congrega di pedofili satanisti che tramano contro il presidente Trump. Quest’ultimo sarebbe stato ingaggiato dai militari per la presidenza degli Stati Uniti al fine di ribaltare questo complotto criminale e sconfiggere il deep state.
Le origini del movimento legato a Q sono relativamente recenti, poiché risalgono all’autunno del 2017. Un aneddoto: nel dicembre del 2016, Edgar Maddison Welch, uomo profondamente religioso e padre di due figli, partì dal North Carolina per dirigersi verso una pizzeria per famiglie situata in un quartiere a nord-ovest di Washington D.C.
Due mesi prima, nell’ottobre del 2016, WikiLeaks aveva diffuso una serie di email private di John Podesta, direttore della campagna elettorale di Hillary Clinton: un hackeraggio che poco tempo dopo si scoprirà essere stata opera dei servizi di intelligence russi. Nel contesto del dibattito pre-elezioni queste email avevano fatto molto scalpore, in particolare i contenuti sui rapporti che Hillary Clinton intratteneva con grandi istituzioni finanziarie di Wall Street, come Goldman Sachs.
Ora, solo una persona complottista può trovare sorprendente, strano o addirittura anti-morale che Clinton avesse dei rapporti con questi istituti.
Da questa corrispondenza si evidenziavano infatti le gravi contraddizioni della candidata democratica, che l’avrebbero poi svantaggiata in sede di voto (Stein, 2016). Il contesto mediale contemporaneo non è dunque territorio esente da pericoli. A una crescente disinformazione, fenomeno sempre più in aumento negli ultimi anni, si affianca una politica di discredito condotta da Trump contro le principali testate di informazione. In particolare, il Presidente con il suo atteggiamento tende a favorire la diffusione di fake news: ne è un esempio calzante quanto da lui dichiarato in merito alla gestione delle problematiche dell’epidemia da Coronavirus.
Q è un esempio pratico di attacco alla democrazia tramite l’inquinamento dell’informazione, ma non è l’unico. In questi anni molte sono state le pagine facebook e twitter create per far circolare notizie false, ad esempio sull’Unione Europea: la retorica anti-europa arriva dai partiti di destra, ma non solo.
Il Movimento 5 Stelle ad esempio è perfettamente ambivalente, ha assunto tramite alcuni suoi esponenti quelle che erano le idee qanoniste, dall’altro lato in particolare nella scorsa campagna elettorale per le europee, ha espresso una posizione tutt’altro che europeista. In questa equazione, manca solamente la Russia evidentemente.
Se andiamo sul sito del Governo Canadese e del Governo Americano, troviamo un documento che si chiama: “Russian state-sponsored media organization leverages AI-enhanced ‘Meliorator’ software for foreign malign influence activity”, prodotto dall’ FBI e dalla CNMF in partnership con il CCCS (Canadian Centre for Cyber Security), l’AIVD (Netherlands General Intelligence and Security Service) e l DNP (National Police of the Netherlands).
Il documento cerca di mettere in guardia i paesi rispetto ad uno strumento segreto usato per le campagne di disinformazione a vantaggio del governo russo. Gli affiliati di RT (ex Russia Today), un’organizzazione mediatica sponsorizzata dallo Stato Russo, ha utilizzato questi strumenti per creare personaggi online fittizi, di un certo numero di nazionalità, per la pubblicazione di notizie false sui social media.
Il social media di cui parla il rapporto è X, di proprietà di Elon Musk.
La sollecitazione finale posta da queste autorità statali riguarda il controllo delle piattaforme, che solo i proprietari dei social media possono decidere di fare visto che attualmente questo mercato è poco o per nulla regolato.
Questo è un ulteriore esempio della commistione tra social network, intelligenza artificiale e metodi di propaganda, che diventano più feroci sempre a ridosso delle campagne elettorali.
Concludo, dicendo che per difendere la democrazia e trasformarla, è necessario fare molta attenzione: viviamo nell’era dell’iper-informazione, ma ciò non significa sapere più cose.
Il sociologo americano Robert K.Merton disse che c’è un’ignoranza prevista, dovuta dal fatto che ricorda: ‘l’espansione di alcune conoscenze è spesso accompagnato dalla perdita di altre’ come ricorda il sociologo Peter Burke nel suo libro “L’Ignoranza, una storia globale”.
Anche Von Hayek nel 1978 nel saggio ‘affrontare l’ignoranza’ diceva che l’espansione dell’informazione non è detto che sia anche espansione della conoscenza. Ma cosa può fare la politica?
Sono poche le iniziative che vengono prese per migliorare qualitativamente l’informazione, tranne in pochi casi che sono spesso iniziativa di uno o alcuni individui.
Durante queste elezioni europee ad esempio abbiamo assistito ad una mancanza di informazione a livello televisivo: poco o nulla è stato detto sul tema Europa, poco o nulla si sapeva dei candidati di ogni lista e di cosa pensassero.
La mancanza di tribune politiche quotidiane in questi frangenti ritengo sia una grave assenza. Sui social molto si è incentrato sul dibattito israele-palestina, tema che tocca minimamente le competenze dell’Unione Europea, soprattutto finché non ci sarà una difesa comune europea.
Credo, per finire, che siano due le vie da intraprendere per migliorare l’informazione: il primo, seguendo le preoccupazioni pedagogiche di Popper, è quello di limitare l’accesso ai social network (o quantomeno ai contenuti violenti) ai minori di 15 anni, così da fornire ai genitori e agli adolescenti i giusti strumenti culturali e cognitivi per utilizzare una tecnologia. Sono molti i casi che stanno venendo a galla da dipendenza da social network. Una proposta in questo senso sta vedendo la luce negli Stati Uniti e in Francia, mentre in Italia c’è una proposta di Azione ed una bipartisan Madia/Mennuni (Pd-Fdi).
Una seconda proposta è relativa alle fake-news: l’Intelligenza Artificiale dovrà essere nostra amica, nell’analisi delle notizie vere o false, questo è ciò che un buon governo può fare.
Per partire, anche a livello nazionale, dobbiamo rifarci alla Comunicazione 236 del 2018 da parte della Commissione Europea al PE, Consiglio, Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, dove vengono offerti dei dati che meritano attenta lettura. Le proposte che vengono inserite nel documento sono inadeguate rispetto ai dati che vengono offerti e che vado a citare: “Nel 2014 il Forum economico mondiale ha considerato la rapida diffusione della disinformazione online come una delle dieci tendenze principali delle società moderne. Nel 2016 i social media, gli aggregatori di notizie e i motori di ricerca costituivano, considerati insieme, le modalità più diffuse di lettura delle notizie online per il 57% degli utenti dell’UE. Per quanto riguarda i giovani, un terzo dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni dichiarano di usare i social media come principale fonte di informazione. L’80% degli europei si è imbattuto in notizie da loro ritenute false o fuorvianti svariate volte al mese o anche più frequentemente. L’85% dei partecipanti all’indagine considera la questione come un problema nel proprio paese”.

Il lavoro da fare è molto, ma dei piccoli passi nelle intenzioni si sono già visti, in particolare a livello europeo, e mi riferisco al ‘Codice delle buone pratiche per il contrasto alla disinformazione’ firmato nel 2022, con 36 firmatari (ong o aziende) come ad esempio Vimeo. Certamente il lavoro è lungo, ma essendo le trasformazioni sempre in atto, il ‘conoscere per deliberare’ diventa più urgente rispetto a qualche anno fa.