Di Marco Giordani

A seguito del turno di ballottaggio delle recenti elezioni comunali, la destra è andata finalmente all’attacco del meccanismo stesso di ballottaggio, che per consolidata sensazione pare la sfavorisca. Naturalmente non è questa la motivazione data ma il voler rimediare alla minore partecipazione degli elettori al secondo turno, che dimostrerebbe uno scarso interesse degli elettori, e alla conseguente scarsa legittimazione di un eletto con meno del 50% di elettori.
Ma c’è questa disaffezione? A mio avviso no: analizzando i votanti nel primo e secondo turno dei maggiori comuni che sono andati al ballottaggio sia in queste che nelle precedenti elezioni; ne abbiamo trovati 21(i), che vanno da Pontedera (22mila elettori) a Potenza (56mila elettori); abbiano escluso Torre Annunziata, dove un candidato si è “ritirato” pur apparendo sulle schede del ballottaggio. I capoluoghi di provincia sono 7 dei 14 al ballottaggio, e non ci sono i maggiori (Firenze, Bari, Lecce, Perugia) che non erano andati al ballottaggio nella precedente elezione. Nel valutare la disaffezione (o astensione) dal voto del ballottaggio, crediamo abbia senso guardare non alla percentuale di elettori non partecipanti al secondo turno, ma piuttosto alla astensione nel secondo turno tra i votanti del primo; appare infatti del tutto residuale il caso di elettori che saltino il primo turno e votino solo al ballottaggio. Quello che si osserva è che mentre i votanti al primo turno diminuiscono elezione dopo elezione (per quest’ultimo turno dell’1% a Putignano e Gubbio, dell’8% a Rovigo e Paderno Dugnano), non è così per la percentuale di quanti, fra i votanti, si reca al secondo turno: essa è più variabile, tra una diminuzione del 5% (Pontedera) ad un aumento del 8% (Rivoli). Nei casi di Putignano, Avellino e San Giuseppe Vesuviano, i partecipanti al secondo turno addirittura aumentano in valore assoluto rispetto alle elezioni precedenti, nonostante la diminuzione dei votanti.
Complessivamente, la media di partecipazione al primo turno scende dal 68% al 64%, ma quella di quanti tra i votanti votano ANCHE al ballottaggio sale dal 78% al 79%. Il dato è ancor più interessante andando a considerare anche i ballottaggi di due elezioni precedenti. Qui ovviamente l’analisi riguarda solo i 16 (ii) comuni che hanno avuto ballottaggio in tutte e tre le elezioni. In questo campione la partecipazione media al primo turno scende dal 70% al 68% al 63%, mentre la partecipazione ANCHE al ballottaggio sale dal 70% al 77% al 78%.
In questo campione, in più della metà dei comuni i votanti al ballottaggio sono addirittura aumentati, rispetto a due elezioni fa. Questo anche per due città maggiori (Bari e Lecce), per le quali è disponibile il confronto con solo quel ballottaggio: in entrambi i casi si è verificato un aumento del numero assoluto di partecipanti al secondo turno (2mila500 a Bari a fronte di un calo di votanti al primo turno di quasi 30mila, 6mila in più a Lecce su una partecipazione al primo turno sostanzialmente stabile).
Insomma possiamo dire che, se in alcune circostanze una più marcata diminuzione della partecipazione al ballottaggio rispetto al primo turno è comprensibile per esempio quando la distanza tra i due concorrenti è elevata, per le situazioni di vero ballottaggio siamo ad una percentuale dell’80% di votanti che tornano alle urne. Sembra quindi evidente come per contrastare la disaffezione al voto non si debba guardare al ballottaggio, ma piuttosto al primo turno.
La destra sostiene che la disaffezione (quel 20% che non va al secondo turno) sia dovuta al fatto che l’elettore sarebbe più interessato alla coalizione che alla persona; ma questo non ha senso perché dopo tanti anni di questo sistema elettorale (l’unico stabile nei decenni) tutti sanno che sarà la coalizione del sindaco a governare.
Per di più, le più eclatanti occasioni di bassa affluenza si sono avute in elezioni regionali, in cui vige un sistema elettorale senza ballottaggio: abbiamo già dimenticato il Lazio e la Lombardia che quest’anno hanno visto un’affluenza del 37% e 41%? Sulla “legittimazione” poi del Sindaco, eletto con così pochi voti, cosa dire di quei Presidenti, scelti dal 19% e 22% di elettori? Ma il problema non è di quest’anno: già ben nove anni fa, alle elezioni dell’Emilia-Romagna, si era avuta una partecipazione del 38% di elettori ed un Presidente scelto dal 18% degli stessi. Quello che però poi era successo lì è che sei anni dopo, la stessa elezione (e con lo stesso candidato Presidente) vedeva una partecipazione del 68%, quasi raddoppiata; tutti ricorderanno che quella fu una elezione sentita, partecipata, in cui i cittadini, dell’una o dell’altra parte, sentirono di poter contare qualcosa con il loro voto, un po’ come nelle recenti politiche in Francia a poche settimane dalle Europee.
La chiave per contrastare la disaffezione non è dunque altro che ridare effettivo potere di scelta ai cittadini. Tornando alle comunali per le quali la destra si è agitata, se accade che qualcuno che ha votato per una coalizione+sindaco al primo turno non rinnova l’intenzione al secondo turno, ci viene piuttosto da pensare che forse il voto al primo turno avesse altre motivazioni che scegliere chi debba amministrare la città. Ed è infatti, specialmente nei centri minori, il primo turno a poter essere visto come “distorto” in quanto motivato dal voto personale ai consiglieri, più che dai candidati sindaco e dai programmi delle liste; questa è una caratteristica specialmente presente nelle piccole e medie città ed ancor più in determinate zone del paese. Un esempio di come le preferenze agiscano diversamente in diverse realtà, è il paragone tra i voti di preferenza nella lista PD di Rieti (nel 2022) e Cremona (nel 2024): a Cremona 26mila votanti (46%), PD 7500 voti, in 8 sopra le 100 preferenze; a Rieti, 25mila votanti (65%) PD 2500 voti, in 13 sopra le 100 preferenze.
“Specialmente” nei centri minori ma non solo; anche le elezioni regionali sono influenzate dai voti ai consiglieri, tanto che Marco Marsilio, in conferenza stampa appena rieletto Presidente dell’Abruzzo, per incrementare l’affluenza al voto ipotizzava un numero di candidati superiore ai seggi disponibili! Questo voto personale al consigliere (che difficilmente si traduce in voto disgiunto, sia perché il disgiunto non è ben conosciuto, sia per disinteresse al vero esito della elezione) spesso si volge al secondo turno o in astensione (perché lo scopo del voto era solo per il consigliere) o in voto ad un diverso sindaco per una raggiunta libertà di voto È probabilmente questo traino che fa sì che le elezioni comunali vedano una partecipazione più elevata che le altre elezioni (e non avviene infatti ciò per le grandi città, che anche alle comunali sono già sotto il 50% di affluenza) e che la destra ne abbia più a soffrire, più capace come storicamente è, a costruire reti di consenso personale.
Quindi, se c’è qualcosa da ripensare nella legge elettorale comunale (per inciso l’unica stabile, l’unica che gli elettori conoscono nel suo funzionamento) non è certo nel ballottaggio ma caso mai nell’effetto distorsivo delle preferenze ai consiglieri nel primo turno.

Note:

(i) Cremona, Foligno, Pontedera, Osimo, Putignano, San Severo, Avellino, Potenza, Civitavecchia, Campobasso, San Giuseppe Vesuviano, Rivoli, Vercelli, Verbania, Paderno Dugnano, Portogruaro, Rovigo, Gubbio, Piombino, Rosignano Marittimo, Cecina

(ii) Cremona, Foligno, Osimo, San Severo, Avellino, Potenza, Civitavecchia, San Giuseppe Vesuviano, Rivoli, Vercelli, Verbania, Paderno Dugnano, Portogruaro, Rovigo, Gubbio, Cecina