Di Massimiliano Iervolino (articolo pubblicato da Linkiesta) La bassa qualità della nostra democrazia può compromettere la transizione verde – Linkiesta.it

Il tema delle aree idonee riguarda sia i depositi dei rifiuti radioattivi, sia i progetti sulle rinnovabili. Nel primo caso, i timori dei cittadini possono anche essere comprensibili. La sfiducia attorno alle energie pulite, però, è un sintomo di scarsa credibilità da parte delle istituzioni.

L’Italia è una democrazia imperfetta, lo dichiara il settimanale The Economist esaminando lo stato della democrazia in centosessantasette Stati attraverso un indice denominato Democracy index. Secondo l’indagine, su una scala da zero a dieci il nostro Paese si posiziona trentaquattresimo con un punteggio di 7,69.
Le democrazie imperfette (punteggio da 6 a 7,99) sono Nazioni dove le elezioni sono libere e le libertà civili di base sono rispettate, ma che possono avere diversi problemi, come la violazione della libertà d’informazione. Nondimeno, questi Stati hanno delle significative falle in altri aspetti democratici, inclusi una cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione alla vita politica, e problemi nel funzionamento del governo. Il non essere una democrazia completa porta a diversi problemi soprattutto in campo ambientale. Allorquando un forte rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni è la condizione necessaria per la costruzione di nuovi impianti. In una democrazia imperfetta accade che, nonostante le Regioni pianifichino i propri fabbisogni impiantistici suddivisi per aree, nessuna infrastruttura per chiudere il ciclo dei rifiuti negli anni venga realizzata, neanche quelle dedicate al compostaggio. E questo succede da decenni, non da oggi. Nonostante questo scenario così desolante, negli ultimi mesi le parole più cool per il governo sono diventate due: «aree idonee». Vengono utilizzate sia per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, sia per la costruzione di impianti da rinnovabili. Peccato che quando si parla di aree si parla di territori, e quando si parla di territori in Italia iniziano i guai, quelli seri.
Della necessità di costruire un deposito per la gestione dei rifiuti radioattivi si discute da lustri, ma siamo ancora all’anno zero, tant’è che qualche giorno fa il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha precisato che ci sono cinquantuno aree da considerarsi idonee, aggiungendo però che per la scelta c’è ancora bisogno di tempo. Ovviamente in un mondo ideale la localizzazione sarebbe già stata effettuata da uno dei governi precedenti, ma la sola pubblicazione delle cinquantuno zone idonee all’installazione degli impianti ha scatenato il putiferio. Tutti uniti, governatori, sindaci, presidenti delle province e cittadini delle zone interessate: no al deposito! 
Qualcuno a questo punto potrebbe pensare: stiamo parlando comunque di rifiuti radioattivi, quindi è normale avere una popolazione allarmata. Purtroppo non è così. Questo avviene anche per le rinnovabili. Vediamo. Con oltre due anni di ritardo, il 3 luglio 2024 è entrato in vigore il decreto del ministero dell’Ambiente recante la «Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili». L’obiettivo nazionale al 2030 è pari a ottanta gigawatt. Ora spetta alle Regioni emanare, entro il 3 gennaio 2025, le rispettive leggi con le quali individuare le aree ove è possibile realizzare nuovi impianti e quelle dove invece è vietato. Intanto, la Sardegna si è portata avanti con il lavoro: ha già deciso che il novantanove per cento delle aree di propria competenza sono non idonee. Nell’isola c’è stata una forte campagna stampa e civica contro l’installazione degli impianti. 
Se il “modello” Sardegna dovesse essere replicato da altre regioni, l’obiettivo di ottanta gigawatt entro il 2030 sarebbe già perso in partenza. Ovviamente i due casi – quello del nucleare e quello delle rinnovabili – sono diversi, ma evidenziano un atteggiamento che viene da lontano: i cittadini non tollerano impianti nelle vicinanze delle loro case. Il problema principale è la mancanza di fiducia. Ampie fette di popolazione non ritengono più credibili le istituzioni (l’astensione alle elezioni lo dimostra in modo lampante) e in ambito ambientale la distanza tra la gente e la politica è ancora più marcata poiché troppi errori sono stati commessi nei decenni. Due esempi su tutti: l’immonda gestione dei rifiuti nelle Regioni del Centro-Sud Italia e le mancate bonifiche dei siti di interesse nazionale. L’Italia è una democrazia imperfetta ne consegue un difficile rapporto tra imprenditoria, politica e società civile. Eppure i tre attori in campo dovrebbero collaborare, soprattutto in ambito ambientale: senza impianti qualsiasi transizione diventa un’utopia. Di questo dovremmo iniziare a discutere: come la (bassa) qualità della nostra democrazia compromette la transizione energetica.