Giulio Manfredi e Federica Valcauda (Europa Radicale):
La memoria difensiva inviata dal Governo italiano (opera dell’onnipresente sottosegretario Mantovano) alla Corte Penale Internazionale sul “caso Almasri” è la classica pezza peggiore del buco.
Tralasciamo per carità di patria la prima delle due motivazioni con cui Mantovano tenta di giustificare il fatto vergognoso di avere liberato una persona ricercata dalla CPI per crimini contro l’umanita, garantendole un confortevole viaggio di ritorno in Libia: già in Parlamento il ministro Nordio aveva eccepito su alcuni errori di date contenuti nella richiesta di arresto di Almasri da parte della CPI. Tali errori avrebbero dovuto comportare semplicemente la richiesta di chiarimenti all’Aia e non possono certo giustificare la liberazione dell’arrestato.
Ma anche l’altra motivazione addotta è chiaramente farlocca: veniamo a conoscenza, quattro mesi dopo i fatti, che subito dopo l’arresto di Almasri arrivò al governo italiano una richiesta di estradizione dello stesso da parte del governo libico. E’ facilmente ipotizzabile che questo fu fatto dalle autorità libiche per cercare di sottrarre Almasri alla giustizia internazionale, per evitare un pericoloso precedente, visto che decine di altri soggetti libici sono “attenzionati” dagli inquirenti dell’Aia. Nella sua memoria Mantovani afferma che, ai sensi dell’art. 90 dello Statuto della CPI, in caso di due richieste di arresto concorrenti (quella della CPI e quella di uno Stato), il governo può scegliere di dare la preferenza alla richiesta dello Stato, in questo caso della Libia. Ma all’epoca dei fatti (gennaio 2025) la Libia non aveva firmato lo Statuto della CPI e, pertanto, il governo italiano avrebbe dovuto sottostare a quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 90: “Se lo Stato richiedente è uno Stato non parte al presente Statuto, lo Stato richiesto se non è tenuto per via di un obbligo internazionale ad estradare l’interessato verso lo Stato richiedente dà la precedenza alla richiesta di consegna della Corte se quest’ultima ha giudicato che il caso era ammissibile”.
Del tutto arbitrario è poi il riferimento fatto dal governo italiano all’art. 17 dello Statuto, relativo alle “questioni relative alla procedibilità”, perché basta leggerlo per comprendere che il soggetto che deve decidere su tali questioni è sempre la CPI e mai lo Stato interlocutore, che al massimo può, appunto, interloquire con l’Aia, chiedendo chiarimenti ed approfondimenti. Cosa che il governo italiano non ha fatto a tempo debito.
Chiediamo al governo italiano di pubblicare sul suo sito istituzionale il testo integrale della “memoria difensiva”, perché i cittadini italiani hanno il diritto di conoscere in tutti i dettagli una vicenda che non fa certo onore ai nostri governanti.
Chiediamo, altresì, al governo di riferire in Parlamento rispetto ai contenuti della memoria difensiva.
Chiediamo, infine, per l’ennesima volta al ministro Nordio di tirare fuori dai cassetti il progetto di Codice dei crimini internazionali elaborato dalla Commissione Palazzo/Pocar per dare attuazione alla collaborazione italiana con la CPI. Lo Statuto di Roma è entrato in vigore in Italia nel 2002; siamo in ritardo di 23 anni rispetto alla sua concreta attuazione nell’ordinamento giuridico italiano.