Giulio Manfredi e Federica Valcauda (Europa Radicale):

La notizia dell’apertura di un’indagine interna della Corte Penale Internazionale sui comportamenti del governo italiano che hanno portato alla liberazione del generale libico Njeem Osama Almasri, ricercato dalla stessa Corte per crimini contro l’umanità, è una buona notizia. Dovrebbe essere una cosa scontata, ma purtroppo ormai non c’è più nulla di scontato.
L’articolo 86 dello “Statuto di Roma” della Corte Penale Internazionale è chiaro: “Articolo 86. Obbligo generale di cooperare Secondo le disposizioni del presente Statuto gli Stati Parti cooperano pienamente con la Corte nelle indagini e nelle azioni giudiziarie che la stessa svolge per crimini sui quali ha giurisdizione”.
Nella vicenda Almasri non solo non vi è stata alcuna cooperazione (dovuta) da parte del governo italiano ma vi è stata la volontà di sottrarre il ricercato alla CPI in tutti i modi, mandando poi allo sbaraglio in Parlamento il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che, da novello Azzeccagarbugli, si è addirittura permesso di contestare il contenuto del mandato di arresto, non avendone alcuna facoltà.
Oggi sulla stampa l’avvocato Gaetano Pecorella inchioda il ministro Nordio alle proprie responsabilità, citando la legge 20 dciembre 2012, n. 237 (Norme per l’adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale) e precisamente gli articoli dall’ 11 al 14, che Nordio stranamente non ha citato nel suo intervento in Parlamento. Leggendo tali articoli risulta del tutto evidente che la valutazione del mandato di arresto è di competenza esclusiva della Corte d’appello di Roma e che il Guardasigilli non ha alcun potere di sindacare se il mandato di arresto sia o meno nullo.
Ci sembra, infine, evidente che la Corte Penale Internazionale dell’ Aja è sottoposta a un fortissimo attacco a 360 gradi che vuole minarla alla radice. Vorrebbe dire buttare a mare trent’anni di lotte (a cui i radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino hanno concorso quando non iniziato) per l’affermazione di strumenti giuridici concreti a difesa della singola persona umana contro i crimini degli Stati. Noi abbiamo sempre difeso l’operato della Corte e continuiamo a spronare la CPI a fare di più e meglio; per esempio, nel terzo anniversario della guerra d’aggressione di Putin all’Ucraina, ci pare francamente incredibile che sul capo di Vladimir Putin vi sia unicamente il mandato di arresto spiccato il 17 marzo 2023 per la deportazione di migliaia di bambini ucraini in Russia e in Bielorussia. Ogni giorno, da tre anni, la popolazione civile ucraina è sottoposta agli attacchi indiscriminati russi, sotto forma di bombe, missili e droni, del tentativo di relegarla al freddo e alla fame per spezzare la sua Resistenza. Al vertice della catena di comando militare russa c’è Vladimir Putin. Servono altre incriminazioni; la solidarietà e il sostegno all’Ucraina passa anche dall’affermazione del diritto penale internazionale.