Di Federica Valcauda
Sono arrivati a 60 i suicidi nelle nostre carceri, l’emergenza continua e le proposte arrivate dal DDL Nordio sembrano non bastare, e infatti non bastano, per modificare una struttura che ha nel suo ambiente di vita le più gravi storture e mancanze.
Spesso ci siamo interrogati su quale sia la soluzione per applicare dignitosamente l’articolo 27 della nostra Costituzione, che per renderlo semplice lo possiamo sintetizzare nella volontà dei padri costituenti di dare una seconda, terza o quarta possibilità a chi ha commesso un errore nella società. Certo, arrivare alla terza o alla quarta possibilità risulta difficile non solo per chi deve recuperare chi ha commesso l’errore, ma anche per chi continua a cadere nello stesso. Ma chi ha a cuore questo articolo non può arrendersi alla realtà e abbandonare le speranze di un differente modo di recupero.
Ed è qui che le proposte di abolizione del carcere sono arrivate: togliamo le strutture e togliamo il dolore. Salvo poi non spiegare mai come abolire il carcere, quando i crimini nei fatti esistono ancora, ed alcuni è bene che esistano per tutelare la società. Ritengo che oggi, aldilà delle utopiche speranze di un’abolizione, sia necessario andare alla radice dei problemi e optare per due vie: un’applicazione delle leggi correnti che spesso non vengono applicate, penso alle misure alternative, ed una riforma complessiva delle carceri che oggi sono luoghi di marginalità sociale, dove assistiamo ad un aumento del fenomeno delle tossicodipendenze e dei problemi di salute mentale.
E allora cosa fare? Dare ampio respiro ai progetti del terzo settore è più che mai urgente, creando un rapporto diretto anche con i detenuti per mappare al meglio quali siano i loro bisogni: l’ambiente carcere può essere diverso, basta volerlo. Fare insieme è ciò che può aiutare: dipingere i muri laddove gli ambienti non siano più sani, creare nuovi spazi di ritrovo con differenti tipi di attività, nuovi progetti di studio in particolare per i detenuti stranieri che poco conoscono la nostra lingua e hanno difficoltà anche a comprendere come stia evolvendo il loro processo a livello giuridico. Portare il carcere fuori, nelle città dove risiedono, con progetti culturali che integrino anche la popolazione del luogo per far comprendere all’opinione pubblica che dare una seconda possibilità non è qualcosa di così pauroso, come nel pensiero astratto può sembrare. Oltre al portare fuori, è bene anche portare dentro il carcere progetti lavorativi collegati con il territorio: in questo modo si crea una solidità lavorativa ed esperienziale utile al detenuto una volta terminata la pena; la sicurezza di avere un lavoro fuori dalle mura, una volta usciti, può diminuire notevolmente il tasso di recidiva permettendo alla persona di reinserirsi nella società. Queste riforme, o semplici applicazioni di ciò che già c’è nelle nostre leggi, possono essere più efficaci se c’è un unione d’intenti anche con la Polizia Penitenziaria: serve quindi una differenze visione, per rendere questo corpo più professionalizzato rispetto a ciò che serve all’interno dei luoghi di reclusine.
Tutto ciò deve essere fatto nell’ottica dell’applicazione delle misure alternative: i reati relativi alla legge 309/90 che per il 70% riguardano la cannabis non possono essere espunti all’interno di queste strutture, ma appunto, sarebbe meglio fare affidamento su altre forme di detenzione, nella speranza che la legge sulle droghe venga al più presto modificata; è proprio quella legge che crea il sovraffollamento di queste strutture.
Siamo al 60esimo suicidio e alcuni esponenti politici parlano di amnistia senza rendersi conto che così facendo si alimenta una propaganda che bisogna fermare, per andare verso un pensiero concreto da cui trarre vantaggi per la vita delle persone. Il carcere non può essere luogo di scontro ideologico: per questo mi sono fermata a pensare alla diretta facebook organizzata qualche settimana dall’Associazione Radicale Adelaide Aglietta e dall’Associazione Enzo Tortora Radicali Milano, trasmessa da RARA (Radio Associazione Radicale Aglietta), dove un oratore si contrapponeva all’idea di Gherardo Colombo rispetto all’abolizione delle carceri. Certamente in un mondo utopico abolire è un messaggio forte, ma se non passa prima il messaggio rispetto all’adozione dignitosa dell’articolo 27 della Costituzione si potrà mai far passare altro?
Se ci fosse una soluzione, voteremmo abolizione. Ma al momento pensare ad una riforma e all’applicazione corretta delle leggi, è la cosa più radicale e faticosa che si possa fare.