Chiara Squarcione su STRADE (link all’articolo pubblicato in fondo al testo)
Si sono da poco concluse le elezioni per il Parlamento europeo: in Italia l’avanzata delle destre e dei conservatori si è fatta sentire soprattutto a spese delle forze liberali, ovvero di quei partiti che per primi pongono – o dovrebbero porre – lo stato di diritto, la rule of law e il concetto del primato della legge come centrali e imprescindibili.
Questa premessa, che ha anche a che fare (in negativo) con l’idea di giustizia che nel nostro Paese, e più largamente in Occidente, sembra farsi strada, si correla con un concetto cui arriviamo attraverso la lettura di una breve notizia, quasi un trafiletto, facilmente rintracciabile sul sito della Camera dei Deputati: martedì 23 aprile 2024, alle ore 12.30, nell’Aula di Montecitorio, il Parlamento si è riunito in seduta comune per votare, a scrutinio segreto, l’elezione di un giudice della Corte costituzionale. Non essendo stata raggiunta la maggioranza dei due terzi dei componenti l’Assemblea, si è resa necessaria una nuova votazione, la quarta, rimandata a data da destinarsi, durante la quale sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti per eleggere il giudice costituzionale mancante.
La notizia, dicevamo, è facilmente rintracciabile, ma forse il suo peso ed il significato di questo rinvio – sottolineiamo, a data da destinarsi – lo sono assai meno meno. C’è un problema, ma nessuno lo vede. E anche questo è un problema.
L’articolo 135 della Costituzione italiana stabilisce che la Corte costituzionale sia composta da quindici giudici: dall’11 novembre 2023, la Corte è ridotta a quattordici giudici, a seguito della scadenza dei mandati della Presidente Sciarra e dei vice-Presidenti de Pretis e Zanon. Due giudici sono stati sostituiti dalle nomine presidenziali (i giudici costituzionali sono nominati per un terzo dal Capo dello Stato, per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative e per un terzo dal Parlamento riunito in seduta comune), ma il posto di nomina parlamentare risulta ancora vacante.
Ci troviamo dunque in piena violazione di un obbligo costituzionale, che non risulta però una novità per l’Italia: tra i numerosi precedenti, ricordiamo quello del 2008, segnato dall’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella: un drammatico sciopero della sete per richiamare al rispetto, e garantire il buon funzionamento, della giustizia costituzionale in Italia.
Nello stesso anno, il costituzionalista Andrea Pugiotto, ancora oggi tra le poche voci attente a questo nodo sostanziale, indicava come nel dibattito pubblico vi fosse una preoccupante indifferenza verso tale sintomo del deterioramento del tessuto istituzionale: la mancata elezione di un giudice della Corte di nomina parlamentare non è solo una questione politica, ma un problema costituzionale: ciò nonostante le dinamiche parlamentari, i giochi di potere e gli equilibri tra partiti, hanno trasformato un obbligo istituzionale in una mera questione di convenienza e opportunità. E di più. Quella che potrebbe sembrare una scarna questione di accordi interni, di voti che riflettono equilibri e opachi meccanismi che caratterizzano sovente dinamiche di questo tipo, ci sembra oggi, in realtà, essere una affidabile cartina al tornasole dell’abitudine di certa politica di svilire lo stato di diritto e le prassi democratiche.
L’elezione di un giudice costituzionale è un dovere costituzionale che non dovrebbe essere influenzato dalle dinamiche politiche contingenti, e le attuali regole, che tra le altre cose richiedono maggioranze elevate, sono pensate per garantire la terzietà e l’imparzialità della Corte. Tuttavia, questo stallo dimostra quanto sia complesso raggiungere un consenso in un clima politico teso e frammentato.
Alcuni commentatori ed esperti osservatori in materia di diritto costituzionale, suggeriscono che il rinvio di tale nomina potrebbe protrarsi per ulteriori sei mesi, fino alla fine del 2024, quando dovranno essere sostituiti altri tre giudici, creando, come facilmente intuibile, le condizioni adatte ad una spartizione delle nomine secondo criteri di convenienza politica. Una lottizzazione che metterebbe d’accordo maggioranza e opposizione, a discapito dello stato di diritto.
Ci sembra opportuno ricordare a questo Parlamento, e non solo a vantaggio dell’elezione del giudice costituzionale mancante, ma più in generale anche rispetto ad alcune progettualità riformiste, che la politica non può piegare il testo costituzionale ai propri fini.
La piena operatività della Corte costituzionale è cruciale, soprattutto in un momento di riforme costituzionali importanti, mentre la situazione attuale, che vede la Corte costretta a operare a ranghi ridotti, è grave soprattutto perché dimostra la superficiale noncuranza con cui questa classe politica viola costantemente lo stato di diritto. L’elezione di un giudice della Corte può diventare un opzional solo se anche la rule of law diventa anch’essa un opzional.